Era un semplice ragazzo padulese, un umile contadino, probabilmente giustiziato dai soldati americani perché provava a difendere la sua patria!
PER NON DIMENTICARE! Soldato Antonio Giannitto.
Antonio nacque a Paduli il 14 giugno 1922 ed era figlio di Saverio e Maria Perrotta ed era un semplice contadino. A 20 anni, nel 1942 venne chiamato alle armi per il fronte ma a causa della sua salute cagionevole più volte fu ricoverato presso vari ospedali militari. Il 4 febbraio 1943 venne reintegrato in servizio nel 34° Reggimento Fanteria “Livorno” ed inviato in Sicilia per combattere al fianco della Hermann Goring tedesca per contrastare l’avanzata alleata che da li a poco sbarcherà in Sicilia. Con lo sbarco degli alleati avvenuto in Sicilia il 10 luglio 1943, a seguito dell’Operazione Husky diretta dai Generali Montgomery e Patton, risulterà disperso nella battaglia di gela dell’11 luglio 1943.
Probabilmente fu fatto prigioniero dagli alleati. Nei documenti ufficiali della Difesa risulta che morì in battaglia il 14 luglio 1943. Questa data è molto importante perché in due giorni, tra il 12 e 14 luglio, avvennero da parte dei soldati americani dei massacri. Nel nostro Paese la vicenda è pressoché sconosciuta.
Il Generale Patton diede l’ordine di uccidere i prigionieri italiani. Un soldato americano molti anni dopo racconterà:
«Il capitano Compton radunò gli italiani che si erano arresi. Saranno stati più di quaranta. Poi domandò: “Chi vuole partecipare all’esecuzione?”. Raccolse due dozzine di uomini e fecero fuoco tutti insieme sugli italiani». «Il sergente West portò la colonna di prigionieri italiani fuori dalla strada. Chiese un mitra e disse: “E’ meglio che non guardiate, così la responsabilità sarà soltanto mia”. Poi li ammazzò tutti».
Quella avvenuta in Sicilia tra il 12 e il 14 luglio 1943 è la pagina più nera della storia militare statunitense. Nessuno conosce il numero esatto di uomini dell’Asse uccisi dopo la resa. Alla fine del 1943, la corte marziale Usa celebrò due processi: il sergente Horace T. West ammazzò 37 italiani, il plotone d’esecuzione del capitano John C. Compton almeno 36. Ma tanti altri eccidi saranno tenuti nascosti fino a quando il giornalista britannico Alexander Clifford, in colloqui e lettere ora divulgate disse che sessanta italiani, catturati in prima linea, vennero fatti scendere da un camion e massacrati con una mitragliatrice. Dopo pochi minuti, la stessa scena sarebbe stata ripetuta con un gruppo di tedeschi: sarebbero stati crivellati in cinquanta.
Clifford denunciò tutto a Patton, che gli promise di punire i colpevoli. Ma non ci fu mai un processo e il cronista si è rifiutato fino alla morte di deporre contro il generale.
Decine di soldati, graduati ed ufficiali testimoniarono al processo:
«Ci era stato detto che Patton non voleva prenderli vivi. Sulle navi che ci trasportavano in Sicilia, dagli altoparlanti ci è stato letto il discorso del generale. “Se si arrendono quando tu sei a due-trecento metri da loro, non badare alle mani alzate. Mira tra la terza e la quarta costola, poi spara. Si fottano, nessun prigioniero! E finito il momento di giocare, è ora di uccidere! Io voglio una divisione di killer, perché i killer sono immortali!».
Antonio probabilmente è stato brutalmente ucciso non in combattimento, eppure sul suo foglio di servizio risulta morto in battaglia il 14 luglio 1943 in Sicilia.
Nel 1966, la Repubblica Italiana, gli conferirà la croce al merito di guerra.